martedì 18 settembre 2007

L'indignazione


Al Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
Al Ministro della Giustizia
Al Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria
All’Ente parco dell’Asinara
Agli Organi di informazione e di Stampa nazionali e locali

Loro sedi



ASINARA


    • Isola del diavolo
ovvero "La storia scritta dai vincitori"


07 settembre 2007

Sono un Collaboratore Agrario del Ministero della Giustizia Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, in pensione dal luglio del corrente anno ed ho vissuto e lavorato all’Asinara, per circa cinque anni, dal 1982.

Alla vigilia della trasformazione dell’isola in Parco, ho partecipato come coautore, al volume “ASINARA” Storia, natura, mare e tutela dell’ambiente (Delfino Editore 1993) curato da A. Cossu, V. Gazale, X. Monbaillu e A. Torre, per la parte riguardante la Storia agricola e l’ordinamento carcerario.

Per le notizie che, via via, mi pervenivano non avevo voluto mai, prima d’ora, rimettere piede sull’isola che una volta veniva definita “Isola del diavolo” o “Caienna italiana”; quest’anno però alcuni amici desiderosi di verificare, de facto, i miei racconti sono riusciti a convincermi ed insieme ci siamo recati in visita al parco.

(la foto sopra riguarda quel che resta della stazione meteorologica adiacente il Casificio di Cala d'Oliva)


Dico subito che la gita mi ha lasciato una impressione contraddittoria
e sgradevolissima, perché ho avuto la precisa sensazione di essere in presenza di una “pulizia storica” simile a quella “etnica” (messa in atto nelle guerre che si combattono oggi nel mondo), un'azione sitematica che sta progressivamente rimuovendo ogni segno esteriore della presenza penitenziaria nell’isola.

Il tempo, è complice inconsapevole di questo disegno col suo demolire le strutture edilizie d’ogni tipo, piano piano piegandole sotto il peso degli anni e dell’incuria.

  • Scrivo per affidare ai lettori la mia impressione che, seppure modesta, credo possa interpretare le mille e mille voci che, per molteplici motivi, restano “silenziose”.
  • Scrivo per esprimere la mia profonda indignazione, e la ribellione profonda per lo scempio storico che si sta consumando nel tentativo di “cancellare” la presenza del carcere o meglio per ridurre questa centenaria presenza a iconografia, quasi solo una “cartolina illustrata”.
  • Scrivo per rivendicare l’azione secolare, non certo priva di errori, compiuta da tantissima gente che, in vesti le più differenti, hanno contribuito a mantenere l’isola, splendida, come oggi si vede.
  • Scrivo perché dal volto dell’isola non scompaia il segno della sofferenza umana patita e per dichiarare che metterò in atto ogni azione consentita affinchè non si perda la memoria storica dei fatti accaduti sull’isola.
  • Scrivo infine per l’affetto profondo che mi lega alla terra di Sardegna ed ai suoi abitanti, affetto che spesso mi fa dire che l’Ichnussa è la mia vera origine.

E’ doveroso premettere che, chi si accosta ad una realtà importante come quella penitenziaria, ha l’obbligo morale di documentarsi, allora non tarderà a scoprire che, fin dall’antichità, le strutture carcerarie (Bagni Penali), dotate di possibilità lavorative, venivano ubicate su terreni ed in siti per lo più improduttivi, quando addirittura invivibili, in paludi da bonificare o su isole disabitate e scarsamente popolate.

Nei Bagni Penali il detenuto era obbligato coattivamente al lavoro (lavori forzati). Prevista in quasi tutti gli Stati preunitari, la condanna ai lavori forzati - a t
empo e a vita - espiata nei Bagni penali, consentiva di ottenere mano d’opera non qualificata, ma a costo zero e fu introdotta anche nell'ordinamento penale del Regno d'Italia che continuò ad applicare, fino al 1860, gli antichi bandi e regolamenti dei Bagni penali del Regno Sardo, emanati il 26 febbraio 1826.

Negli ultimi anni della mia permanenza sull’isola ho vissuto sulla mia pelle, come molti altri, la “guerra silenziosa e non dichiarata” tra l’Amministrazione Penitenziaria, che ha sempre vissuto l’isola come un luogo in grado di offrire una detenzione relativamente sicura ed a costi relativamente bassi e gli Enti locali che la consideravano un bene ingiustamente sottratto.


Sono sempre stato convinto, per ragioni che qui sarebbe troppo lungo esporre, che la convivenza tra una struttura penitenziaria (sicuramente di tipo particolare, attenuata) e il parco naturalistico avrebbe offerto all’isola le migliori condizioni di sviluppo e di tutela ambientale, coniugate con una frubilità progressivamente sempre maggiore.


Vorrei ricordare uno dei miei tanti predecessori illustri l’Agronomo De Siervo, di cui conservo gelosamente un acquerello del porto di Cala d’Oliva.

Il Tecnico lavorò per lunghissimi anni nell’isola e fra i primi, mise mano alla costruzione (rispettivamente nel 1961 e nel 1965) delle dighe di Fornelli e Cala d’Oliva per l’erogazione dell’acqua alle omonime Diramazioni (così erano chiamati gli agglomerati abitativi e carcerari presenti sull’isola). L’invaso di cala d’Oliva venne poi dotato di impianto di potabilizzazione solo nel 1984.



Nell’intento di trovare collaborazioni interessate soltanto alla corretta gestione di un bene che ci era stato affidato dalla collettività ed alla quale doveva tornare, ho personalmente accompagnato in visita sull’isola innumerevoli autorità in campo ambientale, tra tutti il Prof. Emanuele Bocchieri dell’Università di Cagliari che ha effettuato importanti scoperte botaniche sull’isola, ma anche Fulco Pratesi insieme a Francesco Petretti che ci dettero preziosi consigli in tema di salvaguardia ambientale o il compianto Prof. Paolino Lai e l’allora suo assistente, il Dr. Walter Pinna con i quali iniziammo una stretta collaborazione da cui ebbe origine il programma di monitoraggio e tutela dell’Asinello Bianco e con i quali, concordemente, stabilimmo di trasferire un nucleo di quattro femmine ed un maschio dalla Diramazione di Trabuccato (dove erano originari, ma competevano con l’asinello grigio) a quella di S. Maria (dove originariamente erano assenti), zona in cui si sono poi felicemente riprodotti sino a raggiungere le attuali consistenze.



La Direzione della “Casa di Reclusione all’aperto” non solo agevolò il lavoro dell’Ornitologo Xaver Monbaillu e prese anche contatti con l’Istituto di Difesa e Conservazione del Germoplasma animale diretto dal Prof Rognoni, ma emanò numerosi “Ordini di servizio” per scongiurare gli incendi così dannosi al patrimonio naturalistico dell’isola e giunse (1987) ad ordinare alle motovedette ed ai natanti, in servizio di perlustrazione intorno all’isola, di comunicare immediatamente ogni più piccolo focolaio, per intervenire immediatamente al loro spegnimento.


E’ necessario anche ricordare l’importante opera dell’operatore penitenziario sia esso appartenente al personale civile che al Corpo degli Agenti di Custodia ribattezzati - dopo la riforma del ’90 - Agenti di Polizia Penitenziaria (un numero infinito di persone transitate sull’Asinara nei cento anni di permanenza della struttura penitenziaria) persone che, con indubitabile spirito di sacrificio, si sono sempre adattate a condizioni di vita estreme ed hanno operato anche in compiti non istituzionali, sempre mortificando pesantemente la loro vita di relazione per adattarla alla permanenza sull’isola.

In questo ambito non è possibile però neppure omettere il ricordo delle famiglie del personale che, con il congiunto condividevano i disagi e l’isolamento.

Nel menzionare la storia dell’isola non sarebbe però corretto trascurare la figura del detenuto, cioè di colui (tantissimi) che, pur trovandosi a pagare un debito alla società per aver commesso un delitto, al di là dell’iconografia e della leggenda, il più delle volte teneva un comportamento corretto e partecipava attivamente al lavoro agrozootecnico.

Erano gli stessi detenuti che al caseificio di Cala D’Oliva lavoravano, nei periodi primaverli, 2000 litri di latte al giorno producendo tre tipi di formaggio che l’Amministrazione vendeva al personale e, nelle feste, anche agli stessi reclusi. Lo stesso detenu
to, partecipava ad estenuanti battute (1985-89) per spingere i branchi di mufloni e capre selvatiche entro recinti appositamente costruiti per consentire l’alleggerimento del carico sul territorio.

La Direzione ha ceduto gli esemplari catturati all’Azienda Foreste Demaniali che procedeva al ripopolamento di varie zone della sardegna (Su Filigosu – Monte Limbara – Monte Olia). Era lo stesso detenuto che, dimostrando il proprio attaccamento al lavoro, chiedeva successivamente, ai propri familiari, notizie sullo stato degli animali e sul loro corretto rilascio e ce lo riferiva.

Le guide che oggi accompagnano il turista, nel maldestro tentativo di “romanzare” i fatti, offrono uno spaccato estremamente falso della vita carceraria sull’isola, falso come l’arredo della cella della diramazione centrale, falso poichè non corrispondente alla realtà.

Per aggiustare e rendere appetibile un improbabile “pacchetto turistico” gli operatori omettono di parlare del sacrificio di tante persone che, per lavoro, sono state costrette a condividere la stessa vita del detenuto, con un'unica piccola differenza quella di “non aver commesso alcun reato”.

Tuttavia queste persone oggi vedono, nel sito dell’Ente Parco, accumunata la loro opera alle incursioni islamiche e piratesche, al campo di concentramento, alla stazione di quarantena e, per finire, apprendono di essere annoverati tra gli “invasori” di turno.

Questa offesa gratuita non può essere consentita!

E cosa dire poi della ridenominazione della caletta adiacente a Cala d’Oliva, quella “Cala dell’Orto di Paonessa” recentemente ribattezzata “Cala del Detenuto” solo perché sporadicamente ed in tempi recenti, i detenuti vi venivano condotti a fare il bagno in mare poiché questo sito offriva caratteristiche compatibili all’esercizio di questa attività ricreativa.

Vogliamo altrimenti parlare dell’inesattezza storica quando si comunica, all’inconsapevole visitatore, che la Foresteria Nuova di cala d’Oliva (il fabbricato di colore rosso mattone a destra del porto) era l’abitazione in cui Falcone e Borsellino trascorrevano le loro vacanze insieme alle loro famiglie!

Cala d'Oliva da lontano, come si presenta all'arrivo della barca che trasporta i visitatori. Il puntino rosa, in basso a destra, è la Foresteria Nuova.

I magistrati Falcone, Borsellino ed Ayala furono trasportati in tutta fretta sull’isola solo alla fine del luglio 1985, ma è lo stesso Caponnetto che lo scrive in un articolo per il periodico Sudovest, in cui rivela che la decisione di trasferire precipitosamente i magistrati all’Asinara nel 1985 fu dovuta ad un grave ed incombente pericolo di attentato ai loro danni segnalato da una persona di assoluta fiducia e credibilità.

“Per lungo tempo – afferma nell’articolo Caponnetto – quest’episodio rimase sconosciuto ai più e quando la notizia trapelò riuscimmo a mantenere il segreto sulla drammatica motivazione di quell’improvviso trasferimento che la stampa ha sempre attribuito alla decisione dei colleghi di appartarsi in un luogo sicuro ed isolato per meglio dedicarsi alla stesura della sentenza-ordinanza. In realtà – continua Caponnetto – avendo lasciato Palermo con la massima urgenza a poche ore dalla segnalazione ricevuta, Falcone e Borsellino non avevano alcuna possibilità di portare con sé alcuna parte dell’immenso materiale raccolto con la conseguenza che, per quindici giorni, dovettero sospendere il loro lavoro. Ogni giorno insistevano per poter tornare al lavoro, ma glielo consentimmo solo quando fummo tranquilli sul cessato pericolo. Per quel soggiorno all’Asinara – commenta amaramente Caponnetto – Falcone e Borsellino dovettero persino pagare le spese di soggiorno per loro e le loro famiglie.”

Anche quest’ultima notazione di Caponnetto corrisponde a verità poichè la Contabilità Generale dello Stato non prevede forme di “regalia”, per cui fu emessa regolare quietanza per i giorni di permanenza nella foresteria di Cala D’Oliva.


L’Ente parco poi, e con questa notazione termino, ha ristrutturato la Caserma Agenti di Polizia Penitenziaria prima intitolata a Costantino Satta, Maresciallo del disciolto Corpo degli Agenti di Custodia, deceduto in servizio nel '45, e l’ha trasformata in “Ostello di Cala d’Oliva” di cui si trova menzione anche nel sito dell’Ente Parco.

Nel corso della realizzazione dell’opera (sono ormai due anni) è stata asportata la targa che intitolava la caserma al Maresciallo Satta e, nonostante le assicurazioni verbali, la targa non è stata riposizionata. Di questo fatto credo debba prendere atto l’Amministrazione Penitenziaria che, oltre a menzionare i propri caduti sulla lapide presente all’entrata del Dipartimento, vorrà svolgere tutti gli opportuni passi per difenderne la memoria.
















Il Comandante della motobarca “Fortunato”, Eugenio Denegri, ex agente di Polizia penitenziaria ed amico personale, con tristezza profonda mista ad una dignità indomita, mi continua a ripetere “la storia la scrivono i vincitori”, ma in questa guerra silente non ci sono stati vincitori, ci sono solo due perdenti, il primo è colui (ripeto un numero immenso di persone) che ha operato sull’isola in punta di piedi, con coscienza e senza alcun tornaconto personale, il secondo grande perdente è la sempre splendida isola dell’Asinara e la sua storia.

Carlo Hendel


mail: poggiodicilli@libero.it

4 commenti:

Anonimo ha detto...

complimenti il blog è fatto molto bene...ho letto molto velocemente (e mi riprometto di leggerlo con più calma)ma credo che la motivazione che ti spinge a scrivere sia valida, onesta e sentita. Non conosco la storia di questa affascinante isola e credo che questo sia un modo per aggiungere altre conoscenze alle mie...grazie di avermi nformata, un bacione e a pretso
chiara

Anonimo ha detto...

Se è vero che alla nostra storia personale appartengono luoghi che restano nel nostro cuore è pur vero che ai luoghi noi siamo appartenuti.
Essi potrebbero raccontare dei nostri desideri, del nostro lavoro, delle nostre paure, se solo avessero la voce.
Per questo è importante riconoscere il giusto spazio alle testimonianze di chi a quei luoghi è appartenuto.
Anna Maria

Anonimo ha detto...

Perchè cancellare la storia di un'isola che si è arricchita di una delle esperienze più significative dal punto di vista carcerario?
Pechè non riconoscere e valorizzare il lavoro di uomini liberi e detenuti che rispettosi della natura e dell'ambiente hanno conservato integra la spendida isola dell'Asinara?
Grazie a chi, conoscendo la vera storia perchè l'ha vissuta, dà voce a tutta quella gente che all'Asinara ha dedicato tutto il proprio impegno!
C.M.

Anonimo ha detto...

caro dott. Hendel è percepibile il suo amore per l'isola, anche perchè solo chi ama l'asinara e si fa da essa affascinare e rapire può provare sentimenti di dolore e tristezza quando deve per forza di cose allontanarsene.
mi preme però fare delle precisazioni che sempre, chi difende l'operato del carcere tende ad omettere. Intanto vorrei segnalare che lo stato di abbandono di moltissime strutture era già evidente nel 1997 e quindi già in corso durante l'epoca carceraria. in secondo luogo gli immobili che gli enti locali hanno ceduto al parco sono stati tutti ristrutturati. Non si parla mai dello scempio lasciato dall'amministrazione carceraria con discariche di ferro, vetro, inerti, sostanza pericolose in ogni angolo di campagna (se vuole posso inviare numerose foto) vedi santa maria, fornelli, spalmatore, tumbarino, campu perdu, strada per cala tappo, cala reale (anche dentro le case, imbottite fino all'inverosimile di ferro), trabuccato, cala d'oliva.
Vorrei parlare anche della razzia commessa da chi viveva nell'isola nel momento della chiusura del carcere. E'stato portato via di tutto da mobili ad animali ad attrezzature di ogni genere. In merito alla protezione dell'asinello bianco bisognerebbe ricordare che oltre agli studi sono stati fatti diversi prelievi per allontarne un consistente numero di soggetti da regalare a privati "importanti" per rendere più particolari i loro giardini, Infine per non farla troppo lunga cala dei detenuti era da voi chiamati cala degli orti di paonessa ma se proprio vogliamo, guardando le carte si può vedere che il suo vero nome è cala murighessa (cala dei gelsi)quindi il nome era giaà stato storpiato..
La cella della diramazione centrale non è stata riammobiliata con l'intento di far vedere come erano i mobili del carcere ma solo perchè tutte quelle celle vengono utilizzate come stanzae per far dormire chi partecipa ad eventi, manifestazioni e quant'altro si svolga proprio nel cortile del carcere.

per tante cose sono d'accordo con lei ma bisogna, quando si fanno delle analisi o delle critiche, essere obiettivi