giovedì 1 novembre 2007

CARTOLARIZZIAMO l'Asinara?

Dal sito http:www.repubblica.it riprendiamo la notizia del 1 novembre 2007 a firma di Alberto Fiorillo.
L'Agenzia del demanio ha iniziato a mettere sul mercato aree storiche
Cantieri navali in Liguria, ville in Toscana. E sull'isola toscana un'area suggestiva
Lo Stato vende la vecchia miniera
all'Elba nasce un villaggio turistico





Nella foto la miniera dell'Elba vista dal mare.

Prima dai pozzi di Vigneria sull'isola d'Elba si estraeva ferro. Ora l'Agenzia del Demanio vuole trasformarli in una piccola miniera d'oro. Gli impianti a picco sul mare sono in vendita (base d'asta 11,1 milioni di euro) e l'archeologia industriale presto dovrà cedere il passo a un nuovo villaggio turistico: un migliaio di vacanzieri potrà trovare ospitalità in 45.700 metri cubi di alberghi e residence che dovranno essere affiancati, lo impone il bando di gara, "da servizi culturali e sportivi che permettano una integrazione completa con il vicino abitato di Rio Marina".

L'ipotesi della cessione del complesso di Vigneria e di una delle aree più suggestive dell'arcipelago Toscano circolava già da parecchi anni, almeno dal 1997. Ma nel 2003 il progetto aveva subito una battuta d'arresto: Ministero dell'Ambiente, Parco nazionale dell'Arcipelago Toscano e Demanio si erano infatti accordati per recuperare tutte le ex miniere di Rio Marina, Capoliveri e Porto Azzurro, con l'obiettivo di trasformarle in un museo a cielo aperto che illustrasse la tradizione industriale elbana. Nei fatti, però, l'amministrazione comunale aveva già approvato una variante urbanistica che cambiava la destinazione d'uso degli immobili (da industriale a turistica).
La conferma della volontà di cedere a privati la miniera arriva adesso direttamente dalla vetrina on line dell'agenzia immobiliare del Demanio, che ha fissato anche la data per il passaggio di proprietà: il 19 dicembre 2007. "L'Agenzia ha predisposto un avviso di gara per la vendita del compendio immobiliare di proprietà dello Stato denominato "Villaggio Paese" di Vigneria comprendente terreni, fabbricati civili, industriali e strade, per una superficie fondiaria di circa 6 ettari - si legge su Demanio Real Estate - L'acquirente dovrà recuperare le aree ex minerarie con interventi che siano in grado di attivare processi di riqualificazione socio-economica del territorio comunale, nel rispetto degli aspetti di interesse storico, culturale e ambientale. Lo studio di fattibilità ha evidenziato che il modello di struttura turistica che meglio può contribuire allo sviluppo di un turismo diversificato sull'isola è quello della residenza alberghiera".

Quasi a voler prevenire eventuali polemiche per la cessione di questo pezzo di Isola d'Elba, il Demanio sottolinea, nell'annuncio immobiliare, che gli edifici sono pericolanti, che un'indagine dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ha messo in evidenza la contaminazione superficiale dei terreni consigliandone la bonifica, che l'area è piena di vincoli che l'acquirente dovrà rispettare evitando "usi incompatibili con il carattere storico e artistico" della miniera.

Oltre all'ex miniera, l'Agenzia del Demanio ha appena messo in vendita anche i Cantieri Navali Rodriquez di Pietra Ligure (Savona), una fabbrica degli anni '20 che potrà passare di mano per 17 milioni e 400mila euro.
_________________________________(la foto della Direzione)


Si sono appena chiusi, invece, i primi due bandi di gara per l'affitto di immobili di prestigio statali: il complesso rinascimentale di Villa Tolomei a Marignolle (Firenze) e un insieme di nove casali di guardia idraulica sulle sponde del fiume Reno, tra le province di Ferrara e Ravenna.
"L'affitto è' uno strumento innovativo introdotto dalla Finanziaria 2007 - spiega Elisabetta Spitz, direttore del Demanio - lo Stato affida la gestione di beni di cui resta proprietario a investitori privati realmente interessati, assicurando la conservazione e la manutenzione degli immobili, incrementandone contemporaneamente il valore.
In passato era necessario far cassa e quindi veniva privilegiata la vendita.
Ora la priorità è lo sviluppo, dunque si punta alla conservazione".
Non all'Isola d'Elba però.

(1 novembre 2007)

Fin quì l'articolo della repubblica, ma - vi chiederete - cosa c'entra l'Asinara e perchè questo titolo enigmatico del post?

E' presto detto!

Ricordate che sino a qualche anno fà le massime cariche del potere esecutivo, si erano sperticate a convincerci della bontà dell'idea di "vendere" il raccordo anulare di Roma? (è solo n'esempio....)
Per evitare che il "popolo muflone" comprendesse, l'operazione veniva chiamata" CARTOLARIZZAZIONE" ed inserita in un più ampio settore, quello della "FINANZA CREATIVA".

I geni dell'alta finanza ci volevano trattare come quel povero vecchietto che è proprietario della sua abitazione, ma vede la pensione mangiata dall'inflazione. Nel timore di andare a ramengo che fà, vende la nuda proprietà del bene per il quale ha sgobbato l'intera esistenza, e ne ottiene una somma, ovviamente, inferiore al valore di mercato del bene venduto (perchè questo non è immediatamente disponibile) e, una volta passato a miglior vita, vedrà l'acquirente entrare nel pieno possesso della sua casa.

Morale della vicenda.
Il vecchietto muore, ma il cittadino no! Ovvero lui muore pure, ma ne subentrano altri che in eterno dovranno pagare il pedaggio di un bene che era di loro proprietà e che hanno "CARTOLARIZZATO".


Magie della finanza creativa!


Ecco, ora si spiegano le parole del Ministro dell'Ambiente Pecoraro Scanio che il 3 ottobre 2007 in occasione dei festeggiamenti del decennale dell’istituzione del parco dice:
«Tenerci i beni non ci interessa né qui né alla Maddalena, ma vigileremo attentamente per evitare che finiscano nelle mani di speculatori poco innamorati dell’ambiente e interessati ai facili guadagni».
(La Nuova Sardegna - 03 ottobre 2007)


L'Asinara indubbiamente costa al cittadino moltissimi milioni di euro (secondo il modestissimo parere di un ex tecnico agrario sono cifre incompatibili per le finanze regionali) allora è giocoforza che, prima o poi, esca l'Assessore di turno o il Presidente economista che proporrà la sua CARTOLARIZZAZIONE!










Ma tu, che parli tanto, cosa proponi in luogo della CARTOLARIZZAZIONE?


(.... il seguito alla prossima puntata)

Carlo Hendel - 6 novembre 2007

lunedì 15 ottobre 2007

Carcere e tutela ambientale


Attività di lavoro carcerario in ambito ambientale.


Il ”difetto genetico" che impedisce l’evoluzione del "lavoro penitenziario" da strumento risocializzante a risorsa individuale e collettiva.

A oltre venticinque anni dalla riforma penitenziaria, oltre quindici dalla "Gozzini" e dalla L. 56/ 1987 - della quale in questi giorni si parla spesso a sproposito - ed a quasi dieci dalla legge 296/93, appare doveroso fare il punto della situazione in tema di lavoro penitenziario.

Occorre innazitutto circoscrivere questa particolare tipologia lavorativa, comprendendo in essa solo quel lavoro prestato all'interno degli istituti da soggetti detenuti, oppure anche esercitato all'esterno dell’istituto penitenziario, ma esclusivamente da soggetti "affidati", "semiliberi" o "ammessi al lavoro esterno, ai sensi dell'art. 21 dell’Ordinamento Penitenziario" O.P.


Brevi cenni storici sul lavoro in carcere

Il lavoro penitenziario, nella seconda metà del secolo appena trascorso e nell’inizio di questo:
- ha subito qualche lenta evoluzione soltanto sul piano dei principi: è comunque rimasto obbligatorio per i condannati in condizioni fisiche valide;
- ha perso il suo originario carattere afflittivo;
- ha visto assegnarsi una remunerazione, sia pure ridotta ai sensi degli artt. 22 e 23 O.P..;
- ha ottenuto il diritto al percepimento degli assegni familiari;
- ultimamente ad esso si è applicata la disciplina generale sul collocamento.

La parabola appena descritta individua, delinea in modo estremamente sintetico e nel periodo temporale, un percorso estremamente lungo e faticoso della normativa che rincorre l’omologazione del lavoro penitenziario.
Ma questo appare un processo esclusivo, oltre che lento, nel senso che è stato introdotto dal legislatore sulla spinta di idee generate ed elaborate in differenti ambiti: amministrativo-penitenziario, universitario, giurisdizionale, tutti ambiti che hanno però costantemente costantemente fuori da se, quindi escluso, i due soggetti primari: il detenuto e l’imprenditore.

Sintetizzando ci sentiamo di affermare che il “lavoro penitenziario” potrebbe essere paragonato ad una monoposto da formula uno che ha il suo sistema propulsivo, il suo motore, posto innanzi alla macchina, che per questa ragione può subire solo un “trascinamento”, ma offre una serie di resistenze, aggiuntive al movimento, che ne rallentano la corsa.
Il lavoro penitenziario tuttavia è rimasto il cardine del trattamento rieducativo e pertanto concorre a promuovere il processo di modificazione degli atteggiamenti antisociali dei condannati, che sono di ostacolo ad una costruttiva partecipazione sociale, è quindi titolare di una funzione, se non rieducativa almeno risocializzante.
Con le varie riforme, sino ad arrivare all’ultima cd. Smuraglia, il suddetto “peccato originale”, non è stato eliminato, ma si è perpetuato e il legislatore ha creduto di migliorare la prestazione dell’insieme variando i motori, ovvero aggiungendo alla macchina “lavoro penitenziario” propulsori sempre più sofisticati o potenti, ma comunque “geneticamente” destinati all’inefficacia.
Se passiamo dal piano giuridico, di cui abbiamo potuto esporre i sia pur limitati progressi, al piano pratico della vita nel carcere, bisogna constatare che si sono fatti notevoli passi indietro.
La mancata individuazione dei campi di intervento unita all’indisponibilità di reperimento di adeguate risorse economiche è tra le concause della riduzione delle possibilità di lavoro inframurario offerte dall’Amministrazione e le attività di lavoro attualmente riguardano un numero di soggetti trascurabile. Negli Istituti penitenziari oggi non si va oltre il lavoro cosiddetto "domestico", comprendendo in tale definizione anche i lavori di ordinaria manutenzione degli immobili penitenziari.
In effetti la riforma del '75, prevedendo la quasi completa equiparazione del lavoro penitenziario alla organizzazione del lavoro nella società libera, ha allontanato gli imprenditori dal carcere, e ha fatto venire meno l'interesse per una manodopera, fino a quel momento, prestata a buon mercato.
Tranne poche eccezioni, l'Aministrazione penitenziaria è rimasta per lungo tempo l'unica committente delle proprie episodiche lavorazioni (tavolini, sgabelli, armadietti, plaid, coperte etc) per una serie complessa ed infinita di ragioni, che vanno dalla impreparazione manageriale della dirigenza, alla carenza di manodopera esperta nelle lavorazioni, alla mancanza di maestri d'arte e (soprattutto) alla inadeguatezza delle strutture carcerarie.
Il lavoro cosiddetto "produttivo" in carcere è andato così progressivamente impoverendosi, a tutto vantaggio del lavoro "domestico" il quale possiede certamente minore valenza ai fini del trattamento rieducativo del detenuto e della qualificazione professionale necessaria al successivo reinserimento sociale.

Per qualunque imprenditore persiste poi una vera e propria barriera insormontabile costituita dalla difficoltà ad introdurre in carcere i processi produttivi e tecnologici. Colui che volesse cimentarsi con questa sfida, deve fare i conti con problemi quali l’esigenza di sicurezza, l'alta mobilità della manodopera, il limitato grado di professionalità degli addetti e delle strutture di gestione, l’assenza di una vera libertà di scelta individuale del lavoro con le inevitabili ricadute dal punto di vista della motivazione personale.
In aggiunta si consideri l’esiziale inappetibilità dell’investimento economico in ambito penitenziario, che in regime di libero mercato non offre alcuna speranza anche per il futuro.

Qualsiasi investitore, anche il più sprovveduto, posto davanti alla scelta non avrebbe alcun problema ad escludere i rischi derivanti dall’impegnare risorse proprie in un’attività produttiva da intraprendere all’interno delle strutture penitenziarie ed a privilegiare gli investimenti nelle nuove tecnologie.
E questa rimane, a nostro avviso, la ragione essenziale per la quale il mondo imprenditoriale tradizionale si è sempre defilato rispetto all'ipotesi di portare lavoro all'interno delle anguste mura carcerarie.

Ultimamente sia la L. 296/93 che, soprattutto, la Legge 193 del 22 giugno 2000 (cosiddetta Smuraglia), hanno cercato di delineare nuovi strumenti e aree per la creazione e la gestione di lavoro intra ed extramurario, affidando al volontariato ed alle cooperative sociali la funzione di soggetti maggiormente qualificati ad agire in questi spazi.
Infatti, le cooperative sociali si propongono sicuramente come realtà in grado di fornire le migliori opportunità, perchè possono sfruttare la loro già sperimentata esperienza di radicamento e integrazione territoriale mentre il volontariato, e l'associazionismo in genere, può offrire la propria rete di relazioni formali, con partners istituzionali e no, che ogni singola realtà e, a maggior ragione, il collettore territoriale (ove esiste) è in grado di garantire.
Considerato che in base alla normativa in vigore alle Regioni sono attribuiti compiti di politica attiva del lavoro e di promozione di specifiche iniziative rivolte alle fasce deboli nell'ambito di una più ampia programmazione di crescita occupazionale del territorio regionale, a nostro avviso, e per evitare il fallimento delle iniziative intraprese ed il conseguente sperpero di risorse pubbliche, l’Ente Regione deve tentare, ad ogni costo, di correggere il difetto “d’origine” del lavoro negli istituti penitenziari.


La correzione del ”difetto genetico” del lavoro penitenziario.
Il tentativo che l’Ente regione deve portare a termine è quello di traslocare il “motore” del lavoro penitenziario all’interno del sistema, prima stimolando la creazione di una coscienza tra la popolazione detenuta supportata dal personale penitenziario, facendo in modo di introiettare il lavoro che, da semplice “strumento di rieducazione”, deve diventare “risorsa personale e collettiva”
Tradotto in termini di concretezza, ciò significa ottimizzazione dei percorsi formativi e di reperimento delle opportunità occupazionali, idonee per quel particolare tipo di lavoratore svantaggiato, anche superando il limite imposto dalle attuali normative non disdegnando, ad esempio, anche la costituzione di società compartecipate Ministero della Giustizia – EE. LL. - Organizzazioni imprenditoriali – EE. no profit - sul facsimile delle recenti strutture gestionali dei servizi comunali.
A questi organismi dovranno essere affidate la ricerca dei sistemi, la progettazione e la gestione delle strutture di Lavoro penitenziario e potranno mantenere, entro rapporti predefiniti, la parte pubblica accanto alla corretta remunerazione del rischio d’impresa.
Successivamente a questa prima fase si potranno scegliere le forme di lavoro e gli ambiti in cui è possibile l’intervento del lavoratore penitenziario.


Il lavoro penitenziario del nuovo secolo, l'ambito ambientale.
Qui è pensabile che possa inserirsi una corretta valutazione di occupazione stabile in campo ambientale del detenuto. In questo modo sarebbe pricipalmente rispettato il principio “risarcitorio” della pena, ovvero colui che è stato giudicato per un reato, in fase di espiazione della pena inflitta, risarcisce la società con il valore aggiunto di un corretto recupero ambientale, di una tutela di una specie protetta, di un’attività ecologicamente compatibile, comunque di tutte quelle forme di lavoro comunque altamente dotate di valenze positive.
Questa ricerca progettuale andrebbe opportunamente illustrata al candidato lavoratore detenuto che, per esperienza diretta, ricerca ed apprezza, questo tipo di attenzione, e liberamente sceglie l’ambito di attività specificatamente rivolta verso settori a vocazione ambientale.
Oltre al rispetto etico della funzione della pena, tale ambito di lavoro, offrirebbe un indubbio carattere di modernità divulgabile nelle forme più opportune, per cui la persona che termina di scontare il suo debito, al momento dell’uscita dall’istituzione penitenziaria si renderebbe conto di aver acquisito, attraverso il suo lavoro, un bagaglio di competenze sicuramente appetibili al mercato esterno.

Questa evoluzione appare, allo stato dei fatti, l’unico modo possibile per dare cittadinanza, dignità, produttività e sviluppo al lavoro penitenziario.


Carlo Hendel

15 ottobre 2007

giovedì 4 ottobre 2007

L'Asinara in carcere!

Qualcuno legittimamente potrà chiedersi la ragione di un simile titolo del post.
Prego l'affezionato lettore di dare uno sguardo alla foto che segue...



Al fine di diffondere maggiormente le notizie contenute in questo blog, ho pensato di pubblicare un altro blog al seguente indirizzo:
http://www.asinara.ilcannocchiale.it


La foto è stata graficamente modificata, le sbarre sono state apposte e volutamente rese "artificiali" per evidenziare l'assurdità del silenzio e delle omissioni dell'Ente parco sui trascorsi penitenziari dell'Isola.

giovedì 27 settembre 2007

... " Neve" all'Asinara ....


Questo splendido piccolo asinello bianco, al quale fu imposto il nome di "Neve" è stata la nostra "medaglia" per lo spostamento degli asinelli bianchi dalla Diramazione di Trabuccato.
Da Trabuccato, gli asinelli bianchi, non si erano mai spostati, ma diminuivano a causa della competizione, molto dura, con l'asino grigio, un piccolo nucleo fù quindi trasportato e monitorato assiduamente a Santa Maria, la Diramazione "agricola" per eccellenza in cui, il primo anno (1989), nacquero due piccoli.



Quelli furono anni particolari.



Un evento eccezionale - credo mai documentato prima d'ora - l'Asinara ricoperta da una soffice coltre nevosa.

Perchè il nome di Costantino Satta all'Asinara?

Il seguente documento e la foto provengono entrambi dalla Rivista telematica dell'Amministrazione Penitenziaria "Le due città" n° 10, anno IV Ottobre 2003 e sono stati liberamente adattati alle esigenze del blog.

“Il Corpo degli Agenti di Custodia, disciplinato dal regolamento del 1937, esce dal conflitto presentando all’interno dei propri reparti una situazione drammatica: organici inferiori alle esigenze, paghe basse, turni massacranti; e si trova a dover gestire, con l’aiuto di coraggiosi direttori, un contesto socio-politico confuso ed esplosivo.
Ed è nello sfondo di tale dimensione storico-sociale che si verificano i fatti relativi all’8 giugno 1945.

Pochi giorni prima dei tragici fatti che porteranno all’omicidio del maresciallo degli Agenti di Custodia Costantino Satta, il comandante della 55° Brigata Ferrara scriveva al Prefetto illustrando la situazione contingente (Ferrara, 25/5/1945 Prot. n° 25 I)
"La situazione della provincia di Ferrara dal punto di vista dell’ordine pubblico è precaria, in quanto non esiste un numero sufficiente di agenti (carabinieri, P.S.) adibiti a tale compito.
Questa situazione provoca due specie di inconvenienti: in primo luogo riesce difficile impedire che si verifichino atti di giustizia o di vendetta privata a carico di elementi fascisti; in secondo luogo è possibile che individui appartenenti a disciolte formazioni fasciste o comunque iscritti all’ex partito fascista repubblicano, diano segni di riscossa, con atti sporadici di violenza ai danni di rappresentanti dei partiti antifascisti o in genere della popolazione.
Gli inconvenienti del primo genere si sono già verificati più volte, e non è il caso di citarli nuovamente…"


Il Maresciallo Costantino Satta è, all’epoca, Capo Guardia delle Carceri Giudiziarie di Ferrara, denominate Piangipane, dal nome della via in cui sorgono; si tratta di un Istituto moderno, ospitato in un edificio costruito agli inizi del Novecento. Il complesso ospita prevalentemente detenuti per reati comuni, ma viene interessato, per le esigenze di giustizia del CLN, alla detenzione, in attesa di giudizio, di appartenenti al locale fascismo repubblichino e di collaboratori.


Costantino Satta era nato a Macomer (Cagliari) il 7 luglio 1898, si era arruolato nel Corpo degli Agenti di Custodia il 16 marzo del 1921, proveniente dalla Regia Guardia di Finanza, ove aveva prestato servizio nel primo conflitto mondiale.

Sposato, con cinque figli, prestava servizio presso l’istituto ferrarese, fintantoché “… il giorno otto Giugno 1945 alle ore tredici circa, mentre trovavasi in detto carcere, in servizio e nell’adempimento delle sue funzioni per mano di un individuo, facente parte di una banda armata che assalì in detto giorno ed ora il sopraddetto Carcere, compiendo atti di minaccia, violenze ed omicidi sulle persone degli agenti di custodia e dei detenuti, ed uccidendo con tre proiettili di rivoltella, il Capo Guardia Satta…”.

Balza agli occhi di tutti la sorprendente la premonizione dell'Amministrazione Penitenziaria che, nel 2003, così apre la pagina dedicata al maresciallo Costantino Satta:
"La storia di Costantino Satta, maresciallo del Corpo degli Agenti di Custodia, ucciso l’8 giugno 1945 nel carcere di Ferrara. Un eroe dimenticato. "


Dimenticato da chi?

giovedì 20 settembre 2007

La foresteria nuova di Cala d'Oliva

Salve a tutti,
mi sono accorto di aver compiuto un errore, cioè di non aver inserito la foto della foresteria Nuova di Cala d'oliva in cui soggiornarono Falcone, Borsellino ed Ayala,
Rimedio subito inserendo, di seguito, una nuova foto della foresteria, scattata ad una distanza più ravvicinata.



Grazie.

martedì 18 settembre 2007

L'indignazione


Al Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
Al Ministro della Giustizia
Al Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria
All’Ente parco dell’Asinara
Agli Organi di informazione e di Stampa nazionali e locali

Loro sedi



ASINARA


    • Isola del diavolo
ovvero "La storia scritta dai vincitori"


07 settembre 2007

Sono un Collaboratore Agrario del Ministero della Giustizia Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, in pensione dal luglio del corrente anno ed ho vissuto e lavorato all’Asinara, per circa cinque anni, dal 1982.

Alla vigilia della trasformazione dell’isola in Parco, ho partecipato come coautore, al volume “ASINARA” Storia, natura, mare e tutela dell’ambiente (Delfino Editore 1993) curato da A. Cossu, V. Gazale, X. Monbaillu e A. Torre, per la parte riguardante la Storia agricola e l’ordinamento carcerario.

Per le notizie che, via via, mi pervenivano non avevo voluto mai, prima d’ora, rimettere piede sull’isola che una volta veniva definita “Isola del diavolo” o “Caienna italiana”; quest’anno però alcuni amici desiderosi di verificare, de facto, i miei racconti sono riusciti a convincermi ed insieme ci siamo recati in visita al parco.

(la foto sopra riguarda quel che resta della stazione meteorologica adiacente il Casificio di Cala d'Oliva)


Dico subito che la gita mi ha lasciato una impressione contraddittoria
e sgradevolissima, perché ho avuto la precisa sensazione di essere in presenza di una “pulizia storica” simile a quella “etnica” (messa in atto nelle guerre che si combattono oggi nel mondo), un'azione sitematica che sta progressivamente rimuovendo ogni segno esteriore della presenza penitenziaria nell’isola.

Il tempo, è complice inconsapevole di questo disegno col suo demolire le strutture edilizie d’ogni tipo, piano piano piegandole sotto il peso degli anni e dell’incuria.

  • Scrivo per affidare ai lettori la mia impressione che, seppure modesta, credo possa interpretare le mille e mille voci che, per molteplici motivi, restano “silenziose”.
  • Scrivo per esprimere la mia profonda indignazione, e la ribellione profonda per lo scempio storico che si sta consumando nel tentativo di “cancellare” la presenza del carcere o meglio per ridurre questa centenaria presenza a iconografia, quasi solo una “cartolina illustrata”.
  • Scrivo per rivendicare l’azione secolare, non certo priva di errori, compiuta da tantissima gente che, in vesti le più differenti, hanno contribuito a mantenere l’isola, splendida, come oggi si vede.
  • Scrivo perché dal volto dell’isola non scompaia il segno della sofferenza umana patita e per dichiarare che metterò in atto ogni azione consentita affinchè non si perda la memoria storica dei fatti accaduti sull’isola.
  • Scrivo infine per l’affetto profondo che mi lega alla terra di Sardegna ed ai suoi abitanti, affetto che spesso mi fa dire che l’Ichnussa è la mia vera origine.

E’ doveroso premettere che, chi si accosta ad una realtà importante come quella penitenziaria, ha l’obbligo morale di documentarsi, allora non tarderà a scoprire che, fin dall’antichità, le strutture carcerarie (Bagni Penali), dotate di possibilità lavorative, venivano ubicate su terreni ed in siti per lo più improduttivi, quando addirittura invivibili, in paludi da bonificare o su isole disabitate e scarsamente popolate.

Nei Bagni Penali il detenuto era obbligato coattivamente al lavoro (lavori forzati). Prevista in quasi tutti gli Stati preunitari, la condanna ai lavori forzati - a t
empo e a vita - espiata nei Bagni penali, consentiva di ottenere mano d’opera non qualificata, ma a costo zero e fu introdotta anche nell'ordinamento penale del Regno d'Italia che continuò ad applicare, fino al 1860, gli antichi bandi e regolamenti dei Bagni penali del Regno Sardo, emanati il 26 febbraio 1826.

Negli ultimi anni della mia permanenza sull’isola ho vissuto sulla mia pelle, come molti altri, la “guerra silenziosa e non dichiarata” tra l’Amministrazione Penitenziaria, che ha sempre vissuto l’isola come un luogo in grado di offrire una detenzione relativamente sicura ed a costi relativamente bassi e gli Enti locali che la consideravano un bene ingiustamente sottratto.


Sono sempre stato convinto, per ragioni che qui sarebbe troppo lungo esporre, che la convivenza tra una struttura penitenziaria (sicuramente di tipo particolare, attenuata) e il parco naturalistico avrebbe offerto all’isola le migliori condizioni di sviluppo e di tutela ambientale, coniugate con una frubilità progressivamente sempre maggiore.


Vorrei ricordare uno dei miei tanti predecessori illustri l’Agronomo De Siervo, di cui conservo gelosamente un acquerello del porto di Cala d’Oliva.

Il Tecnico lavorò per lunghissimi anni nell’isola e fra i primi, mise mano alla costruzione (rispettivamente nel 1961 e nel 1965) delle dighe di Fornelli e Cala d’Oliva per l’erogazione dell’acqua alle omonime Diramazioni (così erano chiamati gli agglomerati abitativi e carcerari presenti sull’isola). L’invaso di cala d’Oliva venne poi dotato di impianto di potabilizzazione solo nel 1984.



Nell’intento di trovare collaborazioni interessate soltanto alla corretta gestione di un bene che ci era stato affidato dalla collettività ed alla quale doveva tornare, ho personalmente accompagnato in visita sull’isola innumerevoli autorità in campo ambientale, tra tutti il Prof. Emanuele Bocchieri dell’Università di Cagliari che ha effettuato importanti scoperte botaniche sull’isola, ma anche Fulco Pratesi insieme a Francesco Petretti che ci dettero preziosi consigli in tema di salvaguardia ambientale o il compianto Prof. Paolino Lai e l’allora suo assistente, il Dr. Walter Pinna con i quali iniziammo una stretta collaborazione da cui ebbe origine il programma di monitoraggio e tutela dell’Asinello Bianco e con i quali, concordemente, stabilimmo di trasferire un nucleo di quattro femmine ed un maschio dalla Diramazione di Trabuccato (dove erano originari, ma competevano con l’asinello grigio) a quella di S. Maria (dove originariamente erano assenti), zona in cui si sono poi felicemente riprodotti sino a raggiungere le attuali consistenze.



La Direzione della “Casa di Reclusione all’aperto” non solo agevolò il lavoro dell’Ornitologo Xaver Monbaillu e prese anche contatti con l’Istituto di Difesa e Conservazione del Germoplasma animale diretto dal Prof Rognoni, ma emanò numerosi “Ordini di servizio” per scongiurare gli incendi così dannosi al patrimonio naturalistico dell’isola e giunse (1987) ad ordinare alle motovedette ed ai natanti, in servizio di perlustrazione intorno all’isola, di comunicare immediatamente ogni più piccolo focolaio, per intervenire immediatamente al loro spegnimento.


E’ necessario anche ricordare l’importante opera dell’operatore penitenziario sia esso appartenente al personale civile che al Corpo degli Agenti di Custodia ribattezzati - dopo la riforma del ’90 - Agenti di Polizia Penitenziaria (un numero infinito di persone transitate sull’Asinara nei cento anni di permanenza della struttura penitenziaria) persone che, con indubitabile spirito di sacrificio, si sono sempre adattate a condizioni di vita estreme ed hanno operato anche in compiti non istituzionali, sempre mortificando pesantemente la loro vita di relazione per adattarla alla permanenza sull’isola.

In questo ambito non è possibile però neppure omettere il ricordo delle famiglie del personale che, con il congiunto condividevano i disagi e l’isolamento.

Nel menzionare la storia dell’isola non sarebbe però corretto trascurare la figura del detenuto, cioè di colui (tantissimi) che, pur trovandosi a pagare un debito alla società per aver commesso un delitto, al di là dell’iconografia e della leggenda, il più delle volte teneva un comportamento corretto e partecipava attivamente al lavoro agrozootecnico.

Erano gli stessi detenuti che al caseificio di Cala D’Oliva lavoravano, nei periodi primaverli, 2000 litri di latte al giorno producendo tre tipi di formaggio che l’Amministrazione vendeva al personale e, nelle feste, anche agli stessi reclusi. Lo stesso detenu
to, partecipava ad estenuanti battute (1985-89) per spingere i branchi di mufloni e capre selvatiche entro recinti appositamente costruiti per consentire l’alleggerimento del carico sul territorio.

La Direzione ha ceduto gli esemplari catturati all’Azienda Foreste Demaniali che procedeva al ripopolamento di varie zone della sardegna (Su Filigosu – Monte Limbara – Monte Olia). Era lo stesso detenuto che, dimostrando il proprio attaccamento al lavoro, chiedeva successivamente, ai propri familiari, notizie sullo stato degli animali e sul loro corretto rilascio e ce lo riferiva.

Le guide che oggi accompagnano il turista, nel maldestro tentativo di “romanzare” i fatti, offrono uno spaccato estremamente falso della vita carceraria sull’isola, falso come l’arredo della cella della diramazione centrale, falso poichè non corrispondente alla realtà.

Per aggiustare e rendere appetibile un improbabile “pacchetto turistico” gli operatori omettono di parlare del sacrificio di tante persone che, per lavoro, sono state costrette a condividere la stessa vita del detenuto, con un'unica piccola differenza quella di “non aver commesso alcun reato”.

Tuttavia queste persone oggi vedono, nel sito dell’Ente Parco, accumunata la loro opera alle incursioni islamiche e piratesche, al campo di concentramento, alla stazione di quarantena e, per finire, apprendono di essere annoverati tra gli “invasori” di turno.

Questa offesa gratuita non può essere consentita!

E cosa dire poi della ridenominazione della caletta adiacente a Cala d’Oliva, quella “Cala dell’Orto di Paonessa” recentemente ribattezzata “Cala del Detenuto” solo perché sporadicamente ed in tempi recenti, i detenuti vi venivano condotti a fare il bagno in mare poiché questo sito offriva caratteristiche compatibili all’esercizio di questa attività ricreativa.

Vogliamo altrimenti parlare dell’inesattezza storica quando si comunica, all’inconsapevole visitatore, che la Foresteria Nuova di cala d’Oliva (il fabbricato di colore rosso mattone a destra del porto) era l’abitazione in cui Falcone e Borsellino trascorrevano le loro vacanze insieme alle loro famiglie!

Cala d'Oliva da lontano, come si presenta all'arrivo della barca che trasporta i visitatori. Il puntino rosa, in basso a destra, è la Foresteria Nuova.

I magistrati Falcone, Borsellino ed Ayala furono trasportati in tutta fretta sull’isola solo alla fine del luglio 1985, ma è lo stesso Caponnetto che lo scrive in un articolo per il periodico Sudovest, in cui rivela che la decisione di trasferire precipitosamente i magistrati all’Asinara nel 1985 fu dovuta ad un grave ed incombente pericolo di attentato ai loro danni segnalato da una persona di assoluta fiducia e credibilità.

“Per lungo tempo – afferma nell’articolo Caponnetto – quest’episodio rimase sconosciuto ai più e quando la notizia trapelò riuscimmo a mantenere il segreto sulla drammatica motivazione di quell’improvviso trasferimento che la stampa ha sempre attribuito alla decisione dei colleghi di appartarsi in un luogo sicuro ed isolato per meglio dedicarsi alla stesura della sentenza-ordinanza. In realtà – continua Caponnetto – avendo lasciato Palermo con la massima urgenza a poche ore dalla segnalazione ricevuta, Falcone e Borsellino non avevano alcuna possibilità di portare con sé alcuna parte dell’immenso materiale raccolto con la conseguenza che, per quindici giorni, dovettero sospendere il loro lavoro. Ogni giorno insistevano per poter tornare al lavoro, ma glielo consentimmo solo quando fummo tranquilli sul cessato pericolo. Per quel soggiorno all’Asinara – commenta amaramente Caponnetto – Falcone e Borsellino dovettero persino pagare le spese di soggiorno per loro e le loro famiglie.”

Anche quest’ultima notazione di Caponnetto corrisponde a verità poichè la Contabilità Generale dello Stato non prevede forme di “regalia”, per cui fu emessa regolare quietanza per i giorni di permanenza nella foresteria di Cala D’Oliva.


L’Ente parco poi, e con questa notazione termino, ha ristrutturato la Caserma Agenti di Polizia Penitenziaria prima intitolata a Costantino Satta, Maresciallo del disciolto Corpo degli Agenti di Custodia, deceduto in servizio nel '45, e l’ha trasformata in “Ostello di Cala d’Oliva” di cui si trova menzione anche nel sito dell’Ente Parco.

Nel corso della realizzazione dell’opera (sono ormai due anni) è stata asportata la targa che intitolava la caserma al Maresciallo Satta e, nonostante le assicurazioni verbali, la targa non è stata riposizionata. Di questo fatto credo debba prendere atto l’Amministrazione Penitenziaria che, oltre a menzionare i propri caduti sulla lapide presente all’entrata del Dipartimento, vorrà svolgere tutti gli opportuni passi per difenderne la memoria.
















Il Comandante della motobarca “Fortunato”, Eugenio Denegri, ex agente di Polizia penitenziaria ed amico personale, con tristezza profonda mista ad una dignità indomita, mi continua a ripetere “la storia la scrivono i vincitori”, ma in questa guerra silente non ci sono stati vincitori, ci sono solo due perdenti, il primo è colui (ripeto un numero immenso di persone) che ha operato sull’isola in punta di piedi, con coscienza e senza alcun tornaconto personale, il secondo grande perdente è la sempre splendida isola dell’Asinara e la sua storia.

Carlo Hendel


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