giovedì 27 settembre 2007

... " Neve" all'Asinara ....


Questo splendido piccolo asinello bianco, al quale fu imposto il nome di "Neve" è stata la nostra "medaglia" per lo spostamento degli asinelli bianchi dalla Diramazione di Trabuccato.
Da Trabuccato, gli asinelli bianchi, non si erano mai spostati, ma diminuivano a causa della competizione, molto dura, con l'asino grigio, un piccolo nucleo fù quindi trasportato e monitorato assiduamente a Santa Maria, la Diramazione "agricola" per eccellenza in cui, il primo anno (1989), nacquero due piccoli.



Quelli furono anni particolari.



Un evento eccezionale - credo mai documentato prima d'ora - l'Asinara ricoperta da una soffice coltre nevosa.

Perchè il nome di Costantino Satta all'Asinara?

Il seguente documento e la foto provengono entrambi dalla Rivista telematica dell'Amministrazione Penitenziaria "Le due città" n° 10, anno IV Ottobre 2003 e sono stati liberamente adattati alle esigenze del blog.

“Il Corpo degli Agenti di Custodia, disciplinato dal regolamento del 1937, esce dal conflitto presentando all’interno dei propri reparti una situazione drammatica: organici inferiori alle esigenze, paghe basse, turni massacranti; e si trova a dover gestire, con l’aiuto di coraggiosi direttori, un contesto socio-politico confuso ed esplosivo.
Ed è nello sfondo di tale dimensione storico-sociale che si verificano i fatti relativi all’8 giugno 1945.

Pochi giorni prima dei tragici fatti che porteranno all’omicidio del maresciallo degli Agenti di Custodia Costantino Satta, il comandante della 55° Brigata Ferrara scriveva al Prefetto illustrando la situazione contingente (Ferrara, 25/5/1945 Prot. n° 25 I)
"La situazione della provincia di Ferrara dal punto di vista dell’ordine pubblico è precaria, in quanto non esiste un numero sufficiente di agenti (carabinieri, P.S.) adibiti a tale compito.
Questa situazione provoca due specie di inconvenienti: in primo luogo riesce difficile impedire che si verifichino atti di giustizia o di vendetta privata a carico di elementi fascisti; in secondo luogo è possibile che individui appartenenti a disciolte formazioni fasciste o comunque iscritti all’ex partito fascista repubblicano, diano segni di riscossa, con atti sporadici di violenza ai danni di rappresentanti dei partiti antifascisti o in genere della popolazione.
Gli inconvenienti del primo genere si sono già verificati più volte, e non è il caso di citarli nuovamente…"


Il Maresciallo Costantino Satta è, all’epoca, Capo Guardia delle Carceri Giudiziarie di Ferrara, denominate Piangipane, dal nome della via in cui sorgono; si tratta di un Istituto moderno, ospitato in un edificio costruito agli inizi del Novecento. Il complesso ospita prevalentemente detenuti per reati comuni, ma viene interessato, per le esigenze di giustizia del CLN, alla detenzione, in attesa di giudizio, di appartenenti al locale fascismo repubblichino e di collaboratori.


Costantino Satta era nato a Macomer (Cagliari) il 7 luglio 1898, si era arruolato nel Corpo degli Agenti di Custodia il 16 marzo del 1921, proveniente dalla Regia Guardia di Finanza, ove aveva prestato servizio nel primo conflitto mondiale.

Sposato, con cinque figli, prestava servizio presso l’istituto ferrarese, fintantoché “… il giorno otto Giugno 1945 alle ore tredici circa, mentre trovavasi in detto carcere, in servizio e nell’adempimento delle sue funzioni per mano di un individuo, facente parte di una banda armata che assalì in detto giorno ed ora il sopraddetto Carcere, compiendo atti di minaccia, violenze ed omicidi sulle persone degli agenti di custodia e dei detenuti, ed uccidendo con tre proiettili di rivoltella, il Capo Guardia Satta…”.

Balza agli occhi di tutti la sorprendente la premonizione dell'Amministrazione Penitenziaria che, nel 2003, così apre la pagina dedicata al maresciallo Costantino Satta:
"La storia di Costantino Satta, maresciallo del Corpo degli Agenti di Custodia, ucciso l’8 giugno 1945 nel carcere di Ferrara. Un eroe dimenticato. "


Dimenticato da chi?

giovedì 20 settembre 2007

La foresteria nuova di Cala d'Oliva

Salve a tutti,
mi sono accorto di aver compiuto un errore, cioè di non aver inserito la foto della foresteria Nuova di Cala d'oliva in cui soggiornarono Falcone, Borsellino ed Ayala,
Rimedio subito inserendo, di seguito, una nuova foto della foresteria, scattata ad una distanza più ravvicinata.



Grazie.

martedì 18 settembre 2007

L'indignazione


Al Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
Al Ministro della Giustizia
Al Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria
All’Ente parco dell’Asinara
Agli Organi di informazione e di Stampa nazionali e locali

Loro sedi



ASINARA


    • Isola del diavolo
ovvero "La storia scritta dai vincitori"


07 settembre 2007

Sono un Collaboratore Agrario del Ministero della Giustizia Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, in pensione dal luglio del corrente anno ed ho vissuto e lavorato all’Asinara, per circa cinque anni, dal 1982.

Alla vigilia della trasformazione dell’isola in Parco, ho partecipato come coautore, al volume “ASINARA” Storia, natura, mare e tutela dell’ambiente (Delfino Editore 1993) curato da A. Cossu, V. Gazale, X. Monbaillu e A. Torre, per la parte riguardante la Storia agricola e l’ordinamento carcerario.

Per le notizie che, via via, mi pervenivano non avevo voluto mai, prima d’ora, rimettere piede sull’isola che una volta veniva definita “Isola del diavolo” o “Caienna italiana”; quest’anno però alcuni amici desiderosi di verificare, de facto, i miei racconti sono riusciti a convincermi ed insieme ci siamo recati in visita al parco.

(la foto sopra riguarda quel che resta della stazione meteorologica adiacente il Casificio di Cala d'Oliva)


Dico subito che la gita mi ha lasciato una impressione contraddittoria
e sgradevolissima, perché ho avuto la precisa sensazione di essere in presenza di una “pulizia storica” simile a quella “etnica” (messa in atto nelle guerre che si combattono oggi nel mondo), un'azione sitematica che sta progressivamente rimuovendo ogni segno esteriore della presenza penitenziaria nell’isola.

Il tempo, è complice inconsapevole di questo disegno col suo demolire le strutture edilizie d’ogni tipo, piano piano piegandole sotto il peso degli anni e dell’incuria.

  • Scrivo per affidare ai lettori la mia impressione che, seppure modesta, credo possa interpretare le mille e mille voci che, per molteplici motivi, restano “silenziose”.
  • Scrivo per esprimere la mia profonda indignazione, e la ribellione profonda per lo scempio storico che si sta consumando nel tentativo di “cancellare” la presenza del carcere o meglio per ridurre questa centenaria presenza a iconografia, quasi solo una “cartolina illustrata”.
  • Scrivo per rivendicare l’azione secolare, non certo priva di errori, compiuta da tantissima gente che, in vesti le più differenti, hanno contribuito a mantenere l’isola, splendida, come oggi si vede.
  • Scrivo perché dal volto dell’isola non scompaia il segno della sofferenza umana patita e per dichiarare che metterò in atto ogni azione consentita affinchè non si perda la memoria storica dei fatti accaduti sull’isola.
  • Scrivo infine per l’affetto profondo che mi lega alla terra di Sardegna ed ai suoi abitanti, affetto che spesso mi fa dire che l’Ichnussa è la mia vera origine.

E’ doveroso premettere che, chi si accosta ad una realtà importante come quella penitenziaria, ha l’obbligo morale di documentarsi, allora non tarderà a scoprire che, fin dall’antichità, le strutture carcerarie (Bagni Penali), dotate di possibilità lavorative, venivano ubicate su terreni ed in siti per lo più improduttivi, quando addirittura invivibili, in paludi da bonificare o su isole disabitate e scarsamente popolate.

Nei Bagni Penali il detenuto era obbligato coattivamente al lavoro (lavori forzati). Prevista in quasi tutti gli Stati preunitari, la condanna ai lavori forzati - a t
empo e a vita - espiata nei Bagni penali, consentiva di ottenere mano d’opera non qualificata, ma a costo zero e fu introdotta anche nell'ordinamento penale del Regno d'Italia che continuò ad applicare, fino al 1860, gli antichi bandi e regolamenti dei Bagni penali del Regno Sardo, emanati il 26 febbraio 1826.

Negli ultimi anni della mia permanenza sull’isola ho vissuto sulla mia pelle, come molti altri, la “guerra silenziosa e non dichiarata” tra l’Amministrazione Penitenziaria, che ha sempre vissuto l’isola come un luogo in grado di offrire una detenzione relativamente sicura ed a costi relativamente bassi e gli Enti locali che la consideravano un bene ingiustamente sottratto.


Sono sempre stato convinto, per ragioni che qui sarebbe troppo lungo esporre, che la convivenza tra una struttura penitenziaria (sicuramente di tipo particolare, attenuata) e il parco naturalistico avrebbe offerto all’isola le migliori condizioni di sviluppo e di tutela ambientale, coniugate con una frubilità progressivamente sempre maggiore.


Vorrei ricordare uno dei miei tanti predecessori illustri l’Agronomo De Siervo, di cui conservo gelosamente un acquerello del porto di Cala d’Oliva.

Il Tecnico lavorò per lunghissimi anni nell’isola e fra i primi, mise mano alla costruzione (rispettivamente nel 1961 e nel 1965) delle dighe di Fornelli e Cala d’Oliva per l’erogazione dell’acqua alle omonime Diramazioni (così erano chiamati gli agglomerati abitativi e carcerari presenti sull’isola). L’invaso di cala d’Oliva venne poi dotato di impianto di potabilizzazione solo nel 1984.



Nell’intento di trovare collaborazioni interessate soltanto alla corretta gestione di un bene che ci era stato affidato dalla collettività ed alla quale doveva tornare, ho personalmente accompagnato in visita sull’isola innumerevoli autorità in campo ambientale, tra tutti il Prof. Emanuele Bocchieri dell’Università di Cagliari che ha effettuato importanti scoperte botaniche sull’isola, ma anche Fulco Pratesi insieme a Francesco Petretti che ci dettero preziosi consigli in tema di salvaguardia ambientale o il compianto Prof. Paolino Lai e l’allora suo assistente, il Dr. Walter Pinna con i quali iniziammo una stretta collaborazione da cui ebbe origine il programma di monitoraggio e tutela dell’Asinello Bianco e con i quali, concordemente, stabilimmo di trasferire un nucleo di quattro femmine ed un maschio dalla Diramazione di Trabuccato (dove erano originari, ma competevano con l’asinello grigio) a quella di S. Maria (dove originariamente erano assenti), zona in cui si sono poi felicemente riprodotti sino a raggiungere le attuali consistenze.



La Direzione della “Casa di Reclusione all’aperto” non solo agevolò il lavoro dell’Ornitologo Xaver Monbaillu e prese anche contatti con l’Istituto di Difesa e Conservazione del Germoplasma animale diretto dal Prof Rognoni, ma emanò numerosi “Ordini di servizio” per scongiurare gli incendi così dannosi al patrimonio naturalistico dell’isola e giunse (1987) ad ordinare alle motovedette ed ai natanti, in servizio di perlustrazione intorno all’isola, di comunicare immediatamente ogni più piccolo focolaio, per intervenire immediatamente al loro spegnimento.


E’ necessario anche ricordare l’importante opera dell’operatore penitenziario sia esso appartenente al personale civile che al Corpo degli Agenti di Custodia ribattezzati - dopo la riforma del ’90 - Agenti di Polizia Penitenziaria (un numero infinito di persone transitate sull’Asinara nei cento anni di permanenza della struttura penitenziaria) persone che, con indubitabile spirito di sacrificio, si sono sempre adattate a condizioni di vita estreme ed hanno operato anche in compiti non istituzionali, sempre mortificando pesantemente la loro vita di relazione per adattarla alla permanenza sull’isola.

In questo ambito non è possibile però neppure omettere il ricordo delle famiglie del personale che, con il congiunto condividevano i disagi e l’isolamento.

Nel menzionare la storia dell’isola non sarebbe però corretto trascurare la figura del detenuto, cioè di colui (tantissimi) che, pur trovandosi a pagare un debito alla società per aver commesso un delitto, al di là dell’iconografia e della leggenda, il più delle volte teneva un comportamento corretto e partecipava attivamente al lavoro agrozootecnico.

Erano gli stessi detenuti che al caseificio di Cala D’Oliva lavoravano, nei periodi primaverli, 2000 litri di latte al giorno producendo tre tipi di formaggio che l’Amministrazione vendeva al personale e, nelle feste, anche agli stessi reclusi. Lo stesso detenu
to, partecipava ad estenuanti battute (1985-89) per spingere i branchi di mufloni e capre selvatiche entro recinti appositamente costruiti per consentire l’alleggerimento del carico sul territorio.

La Direzione ha ceduto gli esemplari catturati all’Azienda Foreste Demaniali che procedeva al ripopolamento di varie zone della sardegna (Su Filigosu – Monte Limbara – Monte Olia). Era lo stesso detenuto che, dimostrando il proprio attaccamento al lavoro, chiedeva successivamente, ai propri familiari, notizie sullo stato degli animali e sul loro corretto rilascio e ce lo riferiva.

Le guide che oggi accompagnano il turista, nel maldestro tentativo di “romanzare” i fatti, offrono uno spaccato estremamente falso della vita carceraria sull’isola, falso come l’arredo della cella della diramazione centrale, falso poichè non corrispondente alla realtà.

Per aggiustare e rendere appetibile un improbabile “pacchetto turistico” gli operatori omettono di parlare del sacrificio di tante persone che, per lavoro, sono state costrette a condividere la stessa vita del detenuto, con un'unica piccola differenza quella di “non aver commesso alcun reato”.

Tuttavia queste persone oggi vedono, nel sito dell’Ente Parco, accumunata la loro opera alle incursioni islamiche e piratesche, al campo di concentramento, alla stazione di quarantena e, per finire, apprendono di essere annoverati tra gli “invasori” di turno.

Questa offesa gratuita non può essere consentita!

E cosa dire poi della ridenominazione della caletta adiacente a Cala d’Oliva, quella “Cala dell’Orto di Paonessa” recentemente ribattezzata “Cala del Detenuto” solo perché sporadicamente ed in tempi recenti, i detenuti vi venivano condotti a fare il bagno in mare poiché questo sito offriva caratteristiche compatibili all’esercizio di questa attività ricreativa.

Vogliamo altrimenti parlare dell’inesattezza storica quando si comunica, all’inconsapevole visitatore, che la Foresteria Nuova di cala d’Oliva (il fabbricato di colore rosso mattone a destra del porto) era l’abitazione in cui Falcone e Borsellino trascorrevano le loro vacanze insieme alle loro famiglie!

Cala d'Oliva da lontano, come si presenta all'arrivo della barca che trasporta i visitatori. Il puntino rosa, in basso a destra, è la Foresteria Nuova.

I magistrati Falcone, Borsellino ed Ayala furono trasportati in tutta fretta sull’isola solo alla fine del luglio 1985, ma è lo stesso Caponnetto che lo scrive in un articolo per il periodico Sudovest, in cui rivela che la decisione di trasferire precipitosamente i magistrati all’Asinara nel 1985 fu dovuta ad un grave ed incombente pericolo di attentato ai loro danni segnalato da una persona di assoluta fiducia e credibilità.

“Per lungo tempo – afferma nell’articolo Caponnetto – quest’episodio rimase sconosciuto ai più e quando la notizia trapelò riuscimmo a mantenere il segreto sulla drammatica motivazione di quell’improvviso trasferimento che la stampa ha sempre attribuito alla decisione dei colleghi di appartarsi in un luogo sicuro ed isolato per meglio dedicarsi alla stesura della sentenza-ordinanza. In realtà – continua Caponnetto – avendo lasciato Palermo con la massima urgenza a poche ore dalla segnalazione ricevuta, Falcone e Borsellino non avevano alcuna possibilità di portare con sé alcuna parte dell’immenso materiale raccolto con la conseguenza che, per quindici giorni, dovettero sospendere il loro lavoro. Ogni giorno insistevano per poter tornare al lavoro, ma glielo consentimmo solo quando fummo tranquilli sul cessato pericolo. Per quel soggiorno all’Asinara – commenta amaramente Caponnetto – Falcone e Borsellino dovettero persino pagare le spese di soggiorno per loro e le loro famiglie.”

Anche quest’ultima notazione di Caponnetto corrisponde a verità poichè la Contabilità Generale dello Stato non prevede forme di “regalia”, per cui fu emessa regolare quietanza per i giorni di permanenza nella foresteria di Cala D’Oliva.


L’Ente parco poi, e con questa notazione termino, ha ristrutturato la Caserma Agenti di Polizia Penitenziaria prima intitolata a Costantino Satta, Maresciallo del disciolto Corpo degli Agenti di Custodia, deceduto in servizio nel '45, e l’ha trasformata in “Ostello di Cala d’Oliva” di cui si trova menzione anche nel sito dell’Ente Parco.

Nel corso della realizzazione dell’opera (sono ormai due anni) è stata asportata la targa che intitolava la caserma al Maresciallo Satta e, nonostante le assicurazioni verbali, la targa non è stata riposizionata. Di questo fatto credo debba prendere atto l’Amministrazione Penitenziaria che, oltre a menzionare i propri caduti sulla lapide presente all’entrata del Dipartimento, vorrà svolgere tutti gli opportuni passi per difenderne la memoria.
















Il Comandante della motobarca “Fortunato”, Eugenio Denegri, ex agente di Polizia penitenziaria ed amico personale, con tristezza profonda mista ad una dignità indomita, mi continua a ripetere “la storia la scrivono i vincitori”, ma in questa guerra silente non ci sono stati vincitori, ci sono solo due perdenti, il primo è colui (ripeto un numero immenso di persone) che ha operato sull’isola in punta di piedi, con coscienza e senza alcun tornaconto personale, il secondo grande perdente è la sempre splendida isola dell’Asinara e la sua storia.

Carlo Hendel


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